DIFFAMAZIONE SUI SOCIAL NETWORK: QUANDO UN COMMENTO PUO’ ESSERE REATO

La comunicazione tra persone mediante l’utilizzo dei social network ha fatto emergere problematiche giuridiche impensabili fino a circa 15/20 anni fa.

I tempi moderni, infatti, hanno visto un’espansione sempre maggiore dei social network, quale luogo virtuale di comunicazione tra persone non presenti che, tuttavia, spesso finiscono per mettersi in situazioni complicate per commenti e frasi scritte apparentemente innocue.

Proprio la diffusione di questi mezzi di comunicazione e l'(ab)uso del loro utilizzo ha visto un’altrettanta esponenziale crescita dei reati, tra i quali il reato di diffamazione (art. 595 c.p.).

IL REATO DI DIFFAMAZIONE

Diffamare significa innanzitutto offendere la reputazione altrui.

Sotto il profilo giuridico sussiste il reato di diffamazione in tutti i casi di dichiarazioni o commenti che un soggetto fa riguardo ad un’altra persona con l’obiettivo di pregiudicarne l’opinione di cui gode nella collettività.

Chiaro esempio di espressioni dal contenuto diffamatorio sono: “Caio è un ladro“; “Tizio è un truffatore“; “Sempronio è una persona violenta che colpisce gli altri senza motivo e per puro divertimento“.

Ovviamente sono espressioni volutamente esagerate, ma rendono l’idea di quello che può intendersi per espressione diffamatoria.

REQUISITI DEL REATO DI DIFFAMAZIONE

LA CONDOTTA OFFENSIVA

Presupposto implicito del reato di diffamazione è la comunicazione di un’espressione ingiuriosa nei confronti di una persona fisicamente non presente.

Sotto questo aspetto il reato di diffamazione si differenzia dall’ingiuria (reato, peraltro, depenalizzato partire dall’anno 2016) che, invece, è un’offesa della reputazione altrui diretta dal soggetto agente alla persona destinataria.

In sostanza, con la diffamazione si offende la reputazione altrui senza la presenza della persona interessata, la quale proprio per tale ragione non può difendersi rispetto al contenuto dell’espressione offensiva.

L’espressione offensiva, quindi, deve essere rivolta a più persone.

Proprio i social network rappresentano uno strumento di amplificazione pressoché indeterminata dei soggetti destinatari di un commento o di una frase con la conseguenza di aggravare in modo rilevante il fatto non solo dal punto vista sociale, ma anche sotto il profilo giuridico.

Infatti, l’art. 595 comma 3 c.p. prevede come circostanza aggravante del reato di diffamazione “se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico“.

In merito alla diffamazione mediante l’uso dei sociale network, la giurisprudenza di legittimità afferma espressamente che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.p., comma 3, poichè la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo per questo di una bacheca facebook, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perchè, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca facebook non avrebbe senso), sia perchè l’utilizzo di facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione” (Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 8328 del 1-3-2016).

IL DESTINATARIO DELL’OFFESA

L’espressione offensiva deve essere riferita ad un soggetto preciso.

Pare un requisito scontato, ma così non è.

Infatti, molto spesso gli utenti di Facebook (social network più usato per dialogare o scambiare opinioni) “postano” commenti dal contenuto oggettivamente ingiurioso rispetto a soggetti non specificamente indicati, pensando di evitare problemi proprio per non avere citato in modo espresso alcuna persona.

Tuttavia, si tratta di un’accortezza ben poco utile o efficace.

Infatti, ai fini della sussistenza del reato di diffamazione è sufficiente che la persona oggetto dell’offesa sia individuabile, come riconosciuto dalla giurisprudenza in materia, secondo la quale “gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, cosi’ che possa desumersi, con ragionevole certezza, l’inequivoca individuazione dell’offeso, sia in via processuale che come fatto preprocessuale, cioe’ come piena e immediata consapevolezza dell’identita’ del destinatario che abbia avuto chiunque abbia letto l’articolo diffamatorio (Sez. 5, n. 33442 del 08/07/2008, De Bortoli, Rv. 241548; conf. Sez. 5, n. 15643 del 11/03/2005, Scalfari, Rv. 232135), o, nel caso di specie, il testo pubblicato su Facebook” (Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 4025 del 28/01/2019).

In conclusione, anche un commento denigratorio sul social network “Facebook” senza l’indicazione specifica del soggetto offeso può integrare il reato di diffamazione aggravante (art. 595 comma 3 c.p.), essendo sufficiente che lo stesso sia comunque identificabile dagli altri utenti.

DIRITTO DI CRITICA E DI CRONACA

Commentare su “Facebook” è ovviamente un diritto per chiunque.

E anche un’opinione negativa espressa pubblicamente non significa necessariamente diffamare qualcuno.

L’utilizzo di espressioni quali “il politico Tizio non capisce niente“, “il calciatore Caio è veramente scarso“, “il programma televisivo di Sempronio è una pena e fa addormentare“, seppure astrattamente offensive, sono in realtà del tutto legittime.

Infatti, l’art. 21 della Costituzione riconosce e tutela la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, in cui rientra anche il diritto di criticare attività e comportamento altrui.

Tuttavia, affinché un’espressione, anche forte nei toni, possa essere considerata espressione di un diritto costituzionalmente riconosciuto sono necessari tre requisiti:

  • il fatto commentato deve essere di interesse sociale;
  • l’espressione non deve essere volgare nè strumentale, ma formulata in termini di serena obiettività;
  • il fatto narrato deve essere vero (classico esempio di espressione diffamatoria è la fake news che girano sempre più spesso sui social network).

Qualora il commento o l’opinione espressa pubblicamente contenga i requisiti di interesse sociale, continenza e veridicità del fatto, il reato di diffamazione non sussiste, perchè il diritto di critica e di cronaca prevalgono sull’interesse individuale alla reputazione del soggetto cui si riferisce la critica.

TUTELA DELLA PERSONA DIFFAMATA

– PROCEDIBILITA’ DEL REATO DI DIFFAMAZIONE
Il reato di diffamazione è procedibile a querela della persona offesa dal reato.

Il soggetto che subisce un commento o un’espressione diffamatoria, essendo qualificabile come persona offesa dal reato, è, quindi, legittimato a proporre querela entro il termine di 3 mesi dal fatto (art. 120 c.p.), decorso il quale il reato non sarà già procedibile.

– LA TUTELA PROCESSUALE DELLA PERSONA DIFFAMATA
Ovviamente, un’espressione diffamatoria può causare danni anche rilevanti all’immagine della persona lesa nella propria dignità.

A seguito dell’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero, la persona danneggiata dal reato di diffamazione potrà chiedere il risarcimento del danno subito mediante la costituzione di parte civile.