Fino all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016 la risposta alla domanda del titolo sarebbe stata semplice: un assegno con firma apocrifa costituiva di certo un reato per il soggetto che aveva sottoscritto il titolo senza averne legittimazione; semmai il problema si poneva sul titolo di reato e cioè se il reo rispondesse del reato di cui all’art. 485 c.p. (falsità in scrittura privata) oppure della fattispecie criminosa di cui all’art. 491 c.p. (falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito).

Tutt’altra questione è se oggi falsificare la firma di un assegno, poiché con il decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016 è stato abrogato l’art. 485 c.p. che così recitava: “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa, o altera una scrittura privata vera, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata”.

La complessità di fornire ad un cliente una risposta chiara e definitiva alla domanda del titolo nasce dalla difficoltà di interpretazione che sta “affaticando” anche la giurisprudenza di legittimità che risolve la problematica con due orientamenti diametralmente opposti (peraltro, di due distinte Sezioni della suprema Corte di Cassazione).

Prima di entrare nel merito delle due posizione interpretative è necessario richiamare il testo dell’art. 491 comma 1° c.p.: “se alcuna delle falsità prevedute dagli articoli precedenti riguarda un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, e il fatto è commesso al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell’articolo 476 e nell’articolo 482“.

Ebbene, secondo un primo orientamento la falsificazione della firma di un assegno bancario “non trasferibile” non costituisce più reato, in quanto trattasi di una condotta che non può essere ricondotta all’ipotesi delittuosa dell’art. 491 c.p.; in particolare, l’elemento che porta ad escludere la rilevanza penale è costituito dalla sussistenza o meno della clausola di trasferibilità sull’assegno a firma apocrifa che impedisce la circolazione del diritto di credito cartolare ivi contenuto e, quindi, la sua cessione a soggetti terzi tramite girata, quale mezzo di pagamento.

Così si è espressa dal Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 11999 del 17 gennaio 2017: “con il D.Lgs. n. 7 del 2016, nel depenalizzare il delitto di cui all’art. 485 c.p.c., ha mantenuto la rilevanza penale dei falsi riguardanti i titoli di credito trasmissibili per girata, che sono sempre punibili a norma dell’art. 491 c.p.. Tuttavia, ad avviso di questo Collegio (contrariamente a quanto emerge da altre pronunce di questa Corte, quali Sez. 2 n. 23776/16, n. 52218/16, n. 23776/16 non massimate) la falsificazione di un assegno bancario recante la clausola di non trasferibilità non è sussumibile nella fattispecie di reato residuata dopo l’intervento di depenalizzazione. A questa conclusione questa Corte era peraltro già pervenuta nella composizione unitaria in una risalente pronuncia, mai contraddetta – prima dell’intervento di depenalizzazione del 2016 – da arresti successivi (S.U. n. 4 del 20/02/1971, Rv. 118012), in cui era stato affermato che la falsità commessa in assegno bancario munito della clausola di non trasferibilità non è punibile a norma dell’art 491 c.p. ma a norma dell’art. 485 c.p.. In particolare, era stato condivisibilmente evidenziato che la ragione della più rigorosa tutela accordata dall’art. 491 c.p. ai titoli di credito al portatore o trasmissibili per girata, nella equiparazione quoad poenam di tali titoli agli atti pubblici, non risiede nella loro natura giuridica nè nella loro attitudine alla circolazione illimitata, che era comune a tutti i titoli di credito, ma è determinata dal maggiore pericolo di falsificazione, insito nel regime di circolazione proprio del titolo al portatore o trasmissibile per girata rispetto al regime di circolazione dei titoli nominativi. Costituendo la circolabilità in concreto dei titoli contemplati dalla norma citata requisito essenziale condizionante la sussumibilità della condotta illecita nella fattispecie di cui all’art. 491 c.p., questa Corte aveva ritenuto che non si potesse prescindere dalle clausole che in concreto ostacolino la circolazione dei titoli anzidetti, come ad esempio la clausola di non trasferibilità apponibile all’assegno bancario o all’assegno circolare, la quale, immobilizzando il titolo nelle mani del prenditore, ne esclude la trasmissibilità per girata, tale non potendo considerarsi la girata ad un banchiere per l’incasso (prevista dal R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 43, comma 1), che ha natura di semplice mandato a riscuotere ed è priva di effetti traslativi del diritto inerente al titolo. Non a caso la girata per incasso viene ritenuta anche in dottrina come girata “impropria”” (in senso analogo, Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 32972 del 4 aprile 2017).

Tale orientamento assume significativa rilevanza pratica, in quanto è prassi quotidiana degli istituti di credito rlasciare ai propri correntisti carnet di assegni muniti della clausola di “non trasferibilità” in ragione della normativa vigente in tema di limite di pagamenti in contanti: “gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 1.000 euro devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità” (art. 49 comma 5° decreto legislativo n. 231 del 2007); ed ancora: “gli assegni bancari e postali emessi all’ordine del traente possono essere girati unicamente per l’incasso a una banca o a Poste Italiane S.p.A” (art. 49 comma 6° decreto legislativo n. 231 del 2007).

Viceversa secondo l’opposto orientamento giurisprudenziale la falsificazione di un assegno non trasferibile rientrerebbe nella fattispecie di reato di cui all’art. 491 c.p., in quanto la non trasferibilità non impedisce la girata per l’incasso (c.d. girata impropria) con effetto dissimulatorio per l’istituto bancario ove il titolo viene cambiato.

In sostanza, il problema viene affrontato e risolto sotto un profilo diverso: dalla girata per circolazione alla girata per l’incasso sempre necessaria quando il portatore del titolo lo presenta all’istituto bancario.

Queste le motivazioni addotte dalla Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza n. 8065 del 17/01/2018: “in tema di falso in scrittura privata, a seguito dell’abrogazione dell’art. 485 c.p. e della nuova formulazione dell’art. 491 c.p. ad opera del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, permane la rilevanza penale della condotta di falsificazione di assegno, anche se dotato di clausola di non traferibilità, in quanto il titolo è comunque girabile per l’incasso (cd. girata impropria), potendo esercitare la sua funzione dissimulatoria almeno nei confronti dell’impiegato della banca e dell’istituto da questi rappresentato. Ritiene dunque il Collegio che sia l’assegno bancario che l’assegno circolare rientrino tutt’ora tra i titoli di credito che, ai sensi dell’art. 491 c.p., se falsificati, rendono penalmente rilevante la condotta. Difatti, sebbene dotate di clausola di non trasferibilità, entrambe le tipologie di assegno risultano pur sempre girabili per l’incasso (cosiddetta girata impropria), momento nel quale è certamente ancora possibile ravvisare una funzione dissimulatoria, almeno nei confronti dell’impiegato di banca e dell’istituto di credito da questi rappresentato. Non è quindi condivisibile, sotto il cennato profilo, l’assunto che si rinviene in Sez. 5, n. 11999 del 17/01/2017, Rv. 269710, dal momento che la nuova disposizione dell’art. 491 c.p., per effetto del D.Lgs. n. 7 del 2016, non distingue tra un tipo di girata ed un’altra, nè nei lavori preparatori al citato testo normativo si trova traccia della volontà del legislatore di depenalizzare per le vie di fatto la maggior parte dei più gravi falsi in assegni, tenuto conto che, a seguito della Legge di Stabilità del 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208), tutti gli assegni per un importo superiore ad Euro 1000 devono obbligatoriamente essere dotati di clausola di non trasferibilità. Con la conseguenza che, del tutto irragionevolmente a voler seguire l’opposta tesi, la falsificazione di un titolo di credito di importo inferiore a mille Euro, non dotato di clausola di non trasferibilità, sarebbe un fatto ancora penalmente perseguibile ai sensi del nuovo art. 491 c.p., al contrario della stessa falsificazione apposta su un assegno di importo maggiore e, per questo, espressione di un maggior disvalore della condotta e di possibili maggiori effetti dannosi sulla vittima (l’impiegato di banca che dà seguito all’operazione e l’istituto bancario)” (in senso analogo, Corte Cassazione, Sez. II, sentenza n. 36670 del 22/06/2017).

Ora, tornando al quesito iniziale se la falsificazione della firma di un assegno bancario non trasferibile costituisca un reato o meno, la risposta non può che essere incerta alla luce di due orientamenti giurisprudenziali di segno opposto; e tale incertezza non potrà che rimanere tale fino a quando non verrà presa una posizione definitiva dalla suprema Corte di Cassazione magari con un’interpretazione resa nella sua massima composizione a Sezioni Unite.
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