MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: RAPIDA ANALISI DI UN REATO PROBLEMATICO

Il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) è fattispecie di reato dai plurimi caratteri problematici e particolarmente odiosa sotto il profilo sociale.

Infatti, sempre più spesso i mass media si occupano di gravi fatti di maltrattamenti in famiglia che accadono all’interno delle mura domestiche con risvolti a volte anche fatali.

Stante l’ampiezza della fattispecie del reato è necessario conoscerne i tratti essenziali al fine di distinguere situazioni che effettivamente rientrano nel reato da altre che, invece, potrebbero apparire incerte nella loro valutazione.

ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

1) LA CONDOTTA

Ai sensi dell’art. 572 c.p. “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni“.

Dalla lettura della norma di cui sopra risulta che il punto essenziale del reato è costituito dall’espressione “maltratta“.

Ma quando un soggetto “maltratta” un’altra persona?

Secondo l’interpretazione costante della giurisprudenza, integrano il reato di maltrattamenti in famiglia non solo condotte che di per sé costituiscono reato (ad esempio percosse, lesioni personali e minacce) ma anche altri comportamenti che presi singolarmente sarebbero giuridicamente irrilevanti.

Come per il reato di stalking, ciò che rileva ai fini della sussistenza del reato è l’effetto prodotto dalle singole condotte sulla persona offesa dal reato, la quale subisce sofferenze fisiche e/o morali e più un generale vive in uno stato di sopraffazione e soggezione nei confronti del soggetto agente.

La giurisprudenza in materia è chiara e costante nell’affermare che “il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, quali ad esempio, come nel caso de quo la costrizione della moglie a sopportare la presenza di una concubina” (Corte di Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 35677 del 06/08/2019).

In sostanza, l’elemento caratterizzante il reato di maltrattamenti in famiglia è l’incidenza negativa sulla persona offesa delle singole condotte che proprio per tale effetto sono legate tra loro in modo giuridicamente unitario.

Quanto sopra esposto deve essere ulteriormente precisato.

Il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone uno stato di prostrazione della persona offesa nei confronti del soggetto agente; tuttavia, tale situazione di soggezione/prostrazione non può dirsi sussistente nei casi di reciprocità dei comportamenti anche vessatori tra due soggetti.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha chiarito che “deve escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile………ne discende che, ove le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità ed intensità equivalenti, non può dirsi che vi sia un soggetto che maltratta e uno che è maltrattato, nè che l’agire dell’uno sia teso – anche dal punto di vista soggettivo – ad imporre all’altro un regime di vita persecutorio ed umiliante” (Corte di Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 4395 del 31/01/2019).

2) CONDOTTE ATTIVE E CONDOTTE OMISSIVE

Per quanto riguarda la tipologia di condotte, integrano il reato di maltrattamenti in famiglia sia condotte attive sia comportamenti omissivi dai quali in ogni caso devono conseguire sulla persona offesa gli effetti pregiudizievoli sopra descritti.

In particolare, ormai da tempo la Corte di Cassazione è costante nell’affermare che ” il reato di maltrattamenti è integrato non soltanto da specifici fatti commissivi direttamente opprimenti la persona offesa, sì da imporle un inaccettabile e penoso sistema di vita, ma altresì da fatti omissivi di deliberata indifferenza verso elementari bisogni esistenziali e affettivi di una persona disabile. Indifferenza espressa con dissimulata severità e fonte di inutile mortificazione, tali da incidere -non meno di gesti di reale violenza – sulla qualità di vita della persona offesa, contraddistinta da quotidiani atti commissivi (sgridate, rimproveri) ed omissivi (vestiario dimesso e sporco, scarsità del cibo, mancanza di igiene) producenti gratuite umiliazioni e durevoli sofferenze psicologiche della stessa persona offesa affidata per ragioni di cura e vigilanza al soggetto agente” (Corte Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 9724 del 28-02-2013).

3) L’ABITUALITÀ

L’abitualità è il requisito che, al pari del reato di stalking, caratterizza il reato di maltrattamenti in famiglia.

Infatti, il reato di maltrattamenti in famiglia si configura quando singole condotte sono ripetute nel tempo e si “legano” tra loro per la medesima finalità e cioè recare conseguenze pregiudizievoli sulla persona offesa dal reato.

In sostanza, le singole azioni o omissioni che astrattamente possono configurare reati a sé stanti perdono la loro autonomia per essere ricondotte nell’unico reato di maltrattamenti in famiglia con applicazione del relativo trattamento sanzionatorio e  disciplina processuale (in particolare, in materia di misure cautelari personali).

Il requisito dell’abitualità viene così interpretato dalla giurisprudenza: “il reato de quo richiede, infatti, per la sua configurazione, una serie abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivi dell’integrità psico – fisica, dell’onore, del decoro o di mero disprezzo e prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro il quale possono agevolmente essere individuati come espressione di un costante atteggiamento dell’agente di maltrattare o denigrare il soggetto passivo. Secondo la giurisprudenza elaborata da questa Sezione, invece, fatti occasionali ed episodici, pur penalmente rilevanti in relazione ad altre figure di reato (ingiurie, minacce, lesioni) determinati da situazioni contingenti (ad es. rapporti interpersonali connotati da permanente conflittualità) e come tali insuscettibili di essere inquadrati un una cornice unitaria, non possono assurgere alla definizione normativa di cui all’art. 572 cod. pen.” (Corte di Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 2326 del 08/01/2014).

4) IL RAPPORTO QUALIFICATO TRA IL SOGGETTO AGENTE E LA PERSONA OFFESA

Ai fini della sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia la norma incriminatrice richiede un rapporto qualificato tra il soggetto che pone in essere le condotte ripetute nel tempo e la persona offesa:

  • rapporto di familiarità. Il concetto di famiglia non deve essere inteso in senso stretto, in quanto da tempo ormai la giurisprudenza ha affermato che tale espressione deve essere intesa in senso ampio, rientrandovi anche rapporti caratterizzati da stabile relazione affettiva anche in assenza del legame matrimoniale o di convivenza. Chiara a riguardo la Corte di Cassazione: “l’art. 572 c.p., è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, Rv. 261472). Ragione per cui il delitto è configurabile anche quando manchi una stabile convivenza e sussista, con la vittima degli abusi, un rapporto familiare di mero fatto, caratterizzato dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza” (Corte di Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 19922 del 7/02/2019).
  • rapporto di autorità, come avviene in un contesto lavorativo;
  • rapporto di affidamento per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte. Rientrano in tale rapporto i casi di accudimento di anziani in case di riposo, di cura sanitaria in ambiente ospedalieri e di istruzione scolastica.

CIRCOSTANZE AGGRAVANTI SPECIALI

L’attuale art. 572 c.p. prevede due tipologie di circostanze aggravanti speciali:

Se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi. Oltre agli effetti sulla fase di esecuzione di cui si dirà in seguito, la sussistenza di questa circostanza aggravante comporta l’aumento fino alla metà della pena prevista per il reato base da 3 a sette anni di reclusione (art. 572 comma 2 c.p.).

Se dalla condotta di maltrattamenti conseguono sulla persona offesa lesioni personali l’art. 572 comma 3 c.p. prevede l’applicazione delle seguenti pene:

  • se dal fatto deriva una lesione personale grave si applica la pena della reclusione da quattro a nove anni;
  • se dal fatto deriva una lesione gravissima si applica la pena della reclusione da sette a quindici anni;
  • se dal fatto deriva la morte si applica la pena della reclusione da dodici a ventiquattro anni.

IL REATO DI MALTRATTAMENTI NELLA FASE DI ESECUZIONE DELLA PENA

Imprescindibile ai fini difensivi è conoscere le conseguenze della condanna del proprio assistito per il reato di maltrattamenti in famiglia, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della Legge 69/2019 (c.d. “codice rosso”).

Infatti, quando il Pubblico Ministero deve eseguire una sentenza di condanna per il reato di maltrattamenti non aggravata dall’art. 572 comma 2 c.p. emette il relativo ordine di esecuzione con contestuale decreto di sospensione, avvertendo il condannato che nel termine di 30 giorni dovrà formulare richiesta di applicazione di una misura alternativa alla detenzione (art. 656 comma 5 c.p.p.).

In sostanza, al condannato per il reato di maltrattamenti in famiglia viene data la possibilità di evitare l’esecuzione immediata della pena.

Tuttavia, l’art. 656 comma 9 c.p.p. prevede una deroga alla regola di cui sopra, stabilendo che l’ordine di esecuzione è immediatamente esecutivo in caso di condanna per il reato di cui maltrattamenti in famiglia aggravato ai sensi dell’art. 572 comma 2 c.p. (“se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi“).

Le conseguenze del differente trattamento nella fase di esecuzione tra ipotesi ordinaria e fattispecie aggravata ai sensi dell’art. 572 comma 2 c.p. sono determinanti ai fini difensivi già nella fase processuale, soprattutto quando il proprio assistito è persona incensurata.

Infatti, è evidente che l’esecuzione immediata di una condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia aggravato ai sensi dell’art. 572 comma c.p. può avere effetti devastanti per soggetti che si trovano alla prima esperienza giudiziaria o quantomeno di esecuzione di una pena detentiva.

L’ESECUZIONE DI UNA CONDANNA PER MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA AGGRAVATI

Prima dell’entrata in vigore della Legge n. 69 del 2019, la situazione normativa del reato di maltrattamenti in famiglia era così disciplinata:

  • prima dell’abrogazione per effetto del D.L. 14.08.2013, n. 93 la circostanza aggravante speciale di cui all’art. 572 comma 2 c.p. aveva un contenuto più limitato, essendo applicabile “se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici“;
  • successivamente la circostanza aggravante speciale di cui all’art. 572 comma 2 c.p. veniva abrogata per effetto del D.L. 14.08.2013, n. 93 e, quindi, formalmente non esisteva più;
  • a seguito dell’abrogazione dell’art. 572 comma 2 c.p., il D.L. 14.08.2013, n. 93 aveva introdotto la circostanza aggravante comune di cui all’art. 61 n. 11 quinquies c.p., che comportava un aumento di pena in caso di commissione del reato di maltrattamenti in famiglia “commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza“.

Tuttavia, le modifiche apportate dal D.L. 14.08.2013, n. 93 avevano lasciato un evidente difetto di coordinamento con l’art. 656 comma 9 c.p.p., perchè questa disposizione processuale continuava (e continua tuttora) a prevedere l’immediata esecuzione dell’ordine di esecuzione nel caso di condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia aggravato ai sensi dell’art. 572 comma c.p. che, però, era stato abrogato.

La suddetta problematica veniva affrontata dai Pubblici Ministero nel senso di emettere comunque un ordine di esecuzione immediatamente esecutivo quando doveva essere eseguita una sentenza di condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 11 quinques c.p., in quanto si riteneva che l’abrogazione dell’aggravante di cui all’art. 572 comma 2 c.p. era solo formale, poiché sostituita proprio da tale circostanza aggravante comune.

In sostanza, era sufficiente che la sentenza di condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia riportasse la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11 quinques c.p. per rendere l’ordine di esecuzione immediatamente esecutivo indipendentemente dal fatto specifico che avesse giustificato la sussistenza di tale aggravante.

Tuttavia, una tale interpretazione manifestava rilevanti problematiche di continuità di rapporto tra norme giuridiche.

Infatti, a seguito di plurime censure sollevate dalle difese di soggetti condannati, la giurisprudenza di legittimità è intervenuta sulla questione, ponendo l’attenzione sul diverso tenore letterale tra l’art. 572 comma 2 c.p. (“se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici“) e l’art. 61 n. 11 quinques c.p. (“commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza“) ed evidenziando il contenuto più ampio della circostanza aggravante comune introdotta dal D.L. 14.08.2013, n. 93.

Conseguenza di tale premessa è che la continuità normativa tra l’originaria forma aggravata del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., comma 2, e quella introdotta con l’art. 61 c.p., n. 11 quinquies deve intendersi limitata alle condotte commesse in danno dei minori di anni 14, unico terreno comune ad entrambe le aggravanti. Invece, non rientrano nell’originaria previsione nè possono ritenersi richiamate in forma “mobile” o formale, ai fini di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), le ulteriori forme di aggravamento della condotta introdotte con l’art. 61 c.p. n. 11 quinquies, trattandosi di nuove ipotesi di responsabilità aggravata, quindi soggette ai principi di tassatività e di irretroattività della legge penale” (Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 12653 del 21/03/2019).

La conclusione di tale premessa era che nel caso di condanna per reato di maltrattamenti in famiglia il Pubblico Ministero doveva emettere l’ordine di esecuzione immediatamente esecutivo esclusivamente solo se aggravato ai sensi dell’art. 61 quinques c.p. “per essere stato commesso il fatto ai danni di minore di anni 14“.

Pertanto, nelle altre ipotesi contemplate dal medesimo art. 61 quinques c.p., ed in particolare il caso più comune di maltrattamenti in famiglia “in presenza di minore“, contestualmente all’ordine di esecuzione doveva essere emesso il decreto di sospensione dello stesso al fine di concedere al condannato di chiedere una misura alternativa alla detenzione nel termine di 30 giorni dalla notifica.

QUESTIONI PROBLEMATICHE CONSEGUENTI ALL’ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE SUL “CODICE ROSSO“

La Legge n. 69 del 2019 è intervenuta sul reato di maltrattamenti in famiglia, apportando due modifiche rilevanti:

  • ha inasprito le pene sia del reato base sia delle ipotesi aggravate;
  • ha reintrodotto l’art. 572 comma c.p., in parte “traslando” il contenuto dell’art. 61 n. 11 quinques c.p. ed in parte introducendo le ulteriore ipotesi di commissione del fatto con armi o nei confronti di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Con la reintroduzione dell’art. 572 comma c.p. il difetto di coordinamento con l’art. 656 comma 9 c.p.p. non esiste più, in quanto quando sussiste tale circostanza aggravante l’ordine di esecuzione sarà sempre immediatamente esecutivo.

Risolti tutti i problemi? Ovviamente no.

Infatti, a seguito dell’entrata in vigore si è posta la questione dell’applicabilità in fase esecutiva dell’art. 656 comma 9 c.p.p. in relazione all’art. 572 comma 2 c.p. per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della Legge n. 69 del 2019 e cioè il 9 agosto 2019.

Il problema è essenzialmente se l’introduzione dell’art. 572 comma 2 c.p. può avere efficacia retroattiva oppure se può valere solo per i fatti successivi alla sua entrata in vigore.

Si tratta di questione di particolare rilevanza, in quanto secondo l’orientamento tradizionale in generale la disciplina della fase di esecuzione della pena può avere applicazione anche retroattiva, essendo normativa di natura processuale.

Tuttavia, con la sentenza n. 32 del 11/02/2020 la Corte Costituzionale ha ribaltato un principio ritenuto, fino a tale pronuncia, difficilmente scalfibile e cioè l’efficacia retroattiva delle norme in materia di esecuzione pena indipendentemente dagli effetti negativi o meno sul condannato.

Con tale pronuncia il Giudice delle Leggi ha dichiarato incostituzionale la cosiddetta “Legge Spazzacorrotti” che aveva introdotto un trattamento peggiorativo dell’esecuzione penale nei confronti dei condannati per reati contro la Pubblica Amministrazione (in particolare, i reati corruttivi) sul presupposto che la stessa, pur prevedendo una disciplina di natura processuale, non può avere efficacia su fatti commessi prima della sua entrata in vigore.

Infatti, per effetto di tale normativa consegue “una trasformazione della natura delle pene previste al momento del reato e della loro incidenza sulla libertà personale del condannato, quanto agli effetti spiegati dalla stessa disposizione in relazione alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena. Conseguentemente, l’applicazione della disposizione censurata ai condannati per fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, quanto agli effetti appena menzionati, viola il divieto di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.” (Corte Costituzionale, sentenza n. 32 del 11/02/2020).

Le suddette conclusioni potrebbero assumere rilevanza anche per quanto riguarda la questione sull’applicabilità retroattiva della Legge in materia di “codice rosso“, in quanto uno dei motivi su cui poggia la questione di legittimità costituzionale avanzata dalla Corte di Appello di Bologna “in riferimento agli art.li 3,13, 25 co. 2, 117 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU (…) dell’art. 656 co. 9 lett. a) c.p.p. nella parte in cui, richiamando l’art. 572 comma 2 c.p., come riformato dall’art. 9 Legge 69/2019, prevede che il reato di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori è ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione, senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile tale norma solo ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della Legge 69/2019″ (la tematica è esposta in modo completo ed interessante qui da un Collega di Rimini che ha trattato personalmente il caso).

Qualora la Corte Costituzionale dichiarasse l’illegittimità della Legge n. 69 del 2019 nei termini di cui alla questione sollevata dalla Corte di Appello di Bologna, la conseguenza sarebbe che per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore (9 agosto 2019) dell’art. 572 comma 2 c.p. troverebbe applicazione il regime di esecuzione della pena precedente.

Pertanto l’immediata esecuzione della sentenza di condanna per reato di maltrattamenti in famiglia sarà possibile solo nel caso in cui il reato sia stato commesso nei confronti di minorenne di anni 14 (art. 656 comma 9 c.p.p. in relazione all’art. 61 n. 11 quinques c.p.); mentre nel caso di maltrattamenti in presenza (non in danno) di minorenni l’ordine di esecuzione dovrà essere contestualmente sospeso per il termine di 30 giorni ai sensi dell’art. 656 comma 5 c.p.p..