IL REATO DI TRUFFA: COS’È E COME VIENE PUNITO
Nella pratica forense il reato di truffa è piuttosto frequente e spesso le aule giudiziarie affrontano questo tipo di reato che si manifesta in più modi.
Pertanto, è fondamentale conoscerne i tratti essenziali al fine anche distinguere i casi rientranti in meri inadempimenti contrattuali e, come tali, non costituenti reato.
ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO DI TRUFFA
Ai sensi dell’art. 640 c.p. “chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032“.
Il reato di truffa si differenzia dagli altri reati contro il patrimonio, perchè necessita della cooperazione (carpita artificiosamente) della persona offesa.
Viceversa gli altri reati contro il patrimonio, quali ad esempio il furto, la rapina e l’estorsione, vengono definiti “delitti di aggressione unilaterale“, in quanto la persona subisce la condotta lesiva senza alcuna partecipazione.
REQUISITI DEL REATO
1) ARTIFIZI E RAGGIRI
La condotta della truffa è definita come un’attività ingannatoria capace di indurre in errore la persona offesa dal reato e si manifesta in duplice modalità:
- l’artifizio consiste in un’attività di simulazione o camuffamento tale da fare apparire una realtà fittizia e, quindi, non veritiera;
- il raggiro da intendersi come attività di interlocuzione incidente sulla psiche della vittima al fine di carpirne la buona fede.
2) L’INDUZIONE IN ERRORE
Ai fini della sussistenza del reato di truffa, l’artifizio o il raggiro deve avere quale effetto concreto l’induzione in errore della persona offesa.
In sostanza, deve sussistere un rapporto di causa – effetto tra l’artifizio o il raggiro e lo stato di errore in cui incorre la persona offesa, la quale proprio in ragione dell’inganno subito compie un atto di disposizione patrimoniale.
Pertanto, la volontà della persona offesa, sepppure sussistente (e non coartata), risulta alterata nel suo processo formazione proprio a causa della condotta ingannatoria del soggetto agente.
3) L’ATTO DI DISPOSIZIONE PATRIMONIALE
Conseguenza dell’induzione in errore è l’atto di disposizione patrimoniale, con il quale la vittima si “autodanneggia” e correlativamente favorisce il soggetto agente.
In sostanza, tale atto risulta l’effetto estrinseco dell’attività ingannatoria in una sorta di sequenza così riassumibile: artifizio o raggiro quale causa dell’induzione in errore, da cui consegue l’atto di disposizione patrimoniale.
L’atto di disposizione patrimoniale può assumere la forma classica della corresponsione di un vantaggio patrimoniale per il soggetto agente, ma può anche manifestarsi in un’omissione, come nel caso della rinuncia ad possibile beneficio patrimoniale.
4) L’INGIUSTO PROFITTO ED IL DANNO
Nella catena concausale che caratterizza il reato di truffa assumono rilievo, quali ulteriori effetti dei requisiti precedenti, il danno altrui ed il profitto per sé o per gli altri come conseguenza dell’atto di disposizione patrimoniale.
Trattandosi di una trasmissione indebita di ricchezza dal patrimonio di un soggetto a quello di un altro, nel reato di truffa devono sussistere sia l’ingiusto profitto sia il danno inteso in senso puramente economico.
In sostanza, il danno costituisce elemento necessario, ma non sufficiente; deve comunque esservi un profitto, da intendersi come una qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale.
LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI
L’art. 640 comma 2 c.p. prevede specifiche circostanze aggravanti che incidono sia sulla sanzione penale da applicarsi sia sulla procedibilità del reato di truffa.
In particolare, sono previste le seguenti circostanze aggravanti speciali:
“la pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire tremila a quindicimila:
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità;
2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5“.
LA PROCEDIBILITA’ DEL REATO
In linea generale il reato di truffa è procedibile a querela della persona offesa dal reato.
L’art. 640 comma 3 c.p. stabilisce la procedibilità d’ufficio nel caso in cui sussistano le circostanze aggravanti di cui sopra, nonché la circostanza aggravante comune di cui all’art. 61 n. 7 c.p. (danno patrimoniale di rilevante entità): “il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7“.
UNA PARTICOLARE IPOTESI: LA TRUFFA CONTRATTUALE
Stante l’ampiezza della fattispecie astratta di reato, la truffa può assumere molteplici configurazioni.
Una delle situazioni più comuni nella prassi giudiziaria è la cosiddetta truffa contrattuale.
In questa particolare tipologia di truffa l’attività dissimulatoria o ingannatoria incide sul processo di formazione della volontà della persona offesa, la quale in ragione dell’errore indotto dal soggetto agente si determina a concludere un rapporto negoziale.
IL PAGAMENTO DI UN BENE MEDIANTE ASSEGNO SCOPERTO
Mediante il contratto di vendita la parte venditrice cede il proprio diritto di proprietà su un bene a fronte del pagamento del relativo prezzo.
Un caso molto frequente di truffa contrattuale riguarda la compravendita di un bene per il cui pagamento la parte acquirente corrisponde il prezzo del bene al venditore mediante un assegno.
Ovviamente, se il pagamento va a buon fine non sussistono problemi.
Ma cosa succede se l’assegno versato dalla parte acquirente risulta scoperto?
In questo caso è necessario fare una distinzione e cioè differenziare il caso di assegno tratto su conto corrente intestato al compratore dalla diversa situazione nella quale il compratore garantisce circa la solvibilità del titolo di credito consegnato (è il caso del pagamento mediante assegno postdatato).
Ebbene, il semplice pagamento di un bene mediante assegno scoperto tratto su conto corrente intestato al compratore non integra il reato di truffa, in quanto il fatto assume caratteri esclusivamente di natura civilistica.
In sostanza, il compratore non adempie alla propria obbligazione di pagamento del prezzo, ma se la fase di formazione della volontà della parte venditrice non è alterata mediante inganno o dissimulazione non si configura il reato di truffa.
Sul punto la giurisprudenza è costante nell’affermare che “il semplice pagamento di merce acquistata mediante assegni di conto corrente privi di copertura, non è sufficiente, da solo, a costituire, di regola, raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto passivo e a indurre alla conclusione del contratto, ma concorre, a realizzare la materialità del delitto di truffa quando sia accompagnato da un quid pluris.” (Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza n. 46890 del 06/12/2011).
Diverso è il caso del pagamento mediante assegno postdatato spesso utilizzato nella prassi (ma in realtà non conforme alla legge sotto il profilo fiscale).
In questa situazione il venditore e l’acquirente stabiliscono che il pagamento del prezzo avverrà in un momento successivo alla stipulazione dell’accordo ed al fine di dare credibilità al proprio impegno il compratore rilascia un assegno con indicata una data di emissione successiva all’accordo, garantendo che a tale data il titolo sarebbe coperto.
Tuttavia, alla data indicata sul titolo la parte venditrice verifica che l’assegno in realtà risulta scoperto e, pertanto, non incassa la somma concordata quale prezzo di vendita del bene.
In questo caso il fatto sopra descritto integra il reato di truffa, in quanto al momento della consegna del titolo postdatato la parte acquirente garantisce che alla data indicata l’assegno sarebbe stato coperto.
Sul punto la giurisprudenza è molto chiara nell’affermare che “integra il delitto di truffa, perché costituisce elemento di artificio o raggiro, la condotta di consegnare in pagamento, all’esito di una transazione commerciale, un assegno di conto corrente bancario postdatato, contestualmente fornendo al prenditore rassicurazioni circa la disponibilità futura della necessaria provvista finanziaria, onde ottenere la credibilità da parte dell’altro contraente, sì da indurlo in errore sulla consistenza patrimoniale ed economica della controparte” (Corte Cassazione, Sez. II Penale, sentenza 21 novembre – 15 dicembre 2014, n. 52021).