Il 9 maggio 2018 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018  (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24 aprile 2018), con il quale è stata attuata la delega stabilita dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017 (la cosiddetta Riforma Orlando), modificando il regime di procedibilità per alcun reati.

La modifica del regime di procedibilità dei reati indicati nel decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018 ha il chiaro obiettivo di ridurre il carico processuale penale e si collega con l’istituto dell’estinzione del reato per condotte riparatorie ex art. 162 ter c.p. introdotto proprio dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017, con il quale viene riconosciuto all’imputato nei reati procedibili a querela di parte la possibilità di risarcire il danno cagionato alla persona offesa con effetti estintivi rispetto alle imputazioni contestate.

Si tratta, quindi, di un intervento normativo essenzialmente volto ad alleggerire il “contenzioso penale” anche per reati che fino alla sua entrata in vigore “costringevano” il Giudice ad istruire un processo anche in casi di danni risarciti alla persona offesa da parte dell’imputati per il solo fatto che nel capo di imputazione era contestata una circostanza aggravante che rendeva il reato procedibile d’ufficio (gli esempi più evidenti nella pratica forense quotidiana erano i reati di truffa e minacce ante riforma).

REATI PER I QUALI E’ STATA MODIFICATO IL REGIME DELLA PROCEDIBILITA’

MINACCIA (ART. 612 C.P.)

Seguendo l’elencazione del decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018, il primo reato interessato dalla modifica in esame è la minaccia.

Attualmente l’art. 612 c.p. stabilisce: “chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno“.

L’art. 1 del suddetto decreto legislativo ha modificato il secondo comma dell’art. 612 c.p., eliminando la locuzione “si procede d’ufficio” ed aggiungendo un terzo comma ai sensi del quale “si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339“.

In sostanza, il reato di minaccia è sempre procedibile a querela di parte (indipendentemente che si tratti di minaccia “semplice” o grave), salvo che tale condotta criminosa venga posta in essere con le modalità indicate dall’art. 339 c.p..

Sotto il profilo pratico la novità legislativa per il reato di minaccia è di notevole rilevanza, in quanto il Giudice si affaticava non poco a motivare la derubricazione della contestazione da minaccia “grave” (art. 612 comma 2° c.p.) in minaccia (art. 612 c.p.) nei casi in cui la persona offesa rimetteva la querela o all’esito di un accordo con l’imputato o per venir meno dell’interesse privato alla prosecuzione dell’accusa penale.

Ebbene, la recente modifica del regime di procedibilità rappresenta un passaggio decisamente utile nell’ottica deflativa del carico giudiziario nei casi di contestazione del reato di minaccia grave ai sensi dell’art. 612 comma 2° c.p..

VIOLAZIONE DI DOMICILIO COMMESSA DA PUBBLICO UFFICIALE (ART. 615 C.P.)

Pur non essendo un reato che si vede spesso nelle aule giudiziarie, l’art. 2 del decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018 ha inserito un nuovo comma, prevedendo che “nel caso previsto dal secondo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa“.

Si tratta dell’ipotesi minore di violazione di domicilio commessa da pubblico ufficiale prevista dall’art 615 comma 2° c.p., consistente “nell’introdursi nei detti luoghi senza l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge“, la cui punibilità viene, quindi, subordinata alla volontà di punizione penale della persona offesa.

Subordinare la punibilità di questo reato, anche se per la sola ipotesi di minore gravità, alla volontà della persona offesa non pare una scelta del tutto riuscita, in quanto si tratta pur sempre di un reato proprio (cioè che si concretizza nel caso in cui il soggetto attivo riveste una determinata qualifica) che si caratterizza per natura di pubblico ufficiale del soggetto agente nei confronti del quale normalmente il privato cittadino versa in una situazione di soggezione e potrà ottenere giustizia solo sporgendo querela.

FALSIFICAZIONE, ALTERAZIONE O SOPPRESSIONE DEL CONTENUTO DI COMUNICAZIONI TELEGRAFICHE, TELEFONICHE, INFORMATICHE O TELEMATICHE (ART. 617 TER C.P. E ART. 617 SEXIES C.P.)

Gli artt. 3 e 4 del decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018 ha modificato il regime di procedibilità dei reati di cui agli artt. 617 ter c.p. e 617 sexies c.p., introducendo per entrambe le fattispecie di reato un terzo comma che subordina la punibilità del reo alla querela della persona offesa alle rispettive ipotesi di minore gravità.

In particolare, sono punibili a querela di parte condotte poste in essere da “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma falsamente, in tutto o in parte, il testo di una comunicazione o di una conversazione telegrafica o telefonica ovvero altera o sopprime in tutto o in parte il contenuto di una comunicazione o di una conversazione telegrafica o telefonica vera, anche solo occasionalmente intercettata” (art. 617 ter c.p.) e da “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno, forma falsamente ovvero altera o sopprime, in tutto o in parte, il contenuto, anche occasionalmente intercettato, di taluna delle comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi” (art. 617 sexies c.p.).

VIOLAZIONE, SOTTRAZIONE, SOPPRESSIONE E RIVELAZIONE DEL CONTENUTO DI CORRISPONDENZA COMMESSE DA PERSONA ADDETTA AL SERVIZIO DELLE POSTE, DEI TELEGRAFI O DEI TELEFONI (ART. 619 C.P. E ART. 620 C.P.)

Anche gli artt. 5 e 6 del decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018 ha modificato il regime della procedibilità di ipotesi minori delle fattispecie di reato previste dagli artt. 619 e 620 c.p., introducendo un nuovo comma.

In particolare, sono punibili a querela di parte i casi in cui l’addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, il quale, abusando di tale qualità, prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta , ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime (art. 619 c.p.) e le ipotesi in cui l’addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, che, avendo notizia, in questa sua qualità, del contenuto di una corrispondenza aperta, o di una comunicazione telegrafica, o di una conversazione telefonica, lo rivela senza giusta causa ad altri che non sia il destinatario ovvero a una persona diversa da quelle tra le quali la comunicazione o la conversazione è interceduta (art. 620 c.p.).

Anche in questo caso la modifica normativa in punto di procedibilità ha destato non poche critiche in ragione della qualifica del soggetto attivo (addetto ai servizi postali ed alle comunicazioni), la cui condotta viola il dovere di segretezza della corrispondenza sancito dall’art. 15 della Costituzione.

TRUFFA (ART. 640)

Decisamente di grande rilevanza pratica è stata l’introduzione del regime pressoché generale della procedibilità a querela del reato di truffa.

Prima della modifica legislativa in esame l’art. 640 comma 3° c.p. stabiliva che “il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante“.

Oggi il nuovo art. 640 comma 3° c.p. prevede che “il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7“.

In sostanza con la recente modifica normativa il reato di truffa è passato dall’essere un reato procedibile d’ufficio, allorquando veniva contestata una circostanza aggravante, qualunque essa fosse, ad un reato in generale procedibile a querela di parte tranne nei casi in cui vengano contestate le circostanze aggravanti indicate nel medesimo art 640 c.p. e quella comune prevista dall’art. 61 n. 7 c.p. (avere cagionato alla persona offesa un danno di rilevante entità).

Anche in questo caso, come per il reato di minaccia, la modifica del regime di procedibilità assumerà un importante valenza sotto il profilo della pratica giudiziaria.

FRODE INFORMATICA (ART. 640 TER C.P.)

Con l’art. 9 il decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018 ha modificato il regime di punibilità anche per il reato di frode informatica, rendendolo, analogamente a quanto previsto per la truffa, un reato in generale procedibile a querela di parte anche in caso di contestazione di circostanze aggravanti, salvo che si tratti della minorata difesa (art. 61 n. 5 c.p.) o del danno patrimoniale di rilevante entità cagionato alla persona offesa (art. 61 n. 7 c.p.).

Oggi, infatti, l’art. 640 ter comma 3° c.p. prevede che “il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o taluna delle circostanze previste dall’articolo 61, primo comma, numero 5, limitatamente all’aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all’età, e numero 7“.

APPROPRIAZIONE INDEBITA

L’incidenza nella pratica giudiziaria quotidiana della recente novella descritta con riferimento ai reati di minaccia e di truffa vale anche per il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), essendo oggi un reato perseguibile esclusivamente a querela di parte a seguito dell’eliminazione del comma 3° dell’art. 646 c.p., il quale prevedeva che “si procede d’ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell’articolo 61“.

PROCEDIBILITA’ IN CASO DI CIRCOSTANZE AD EFFETTO SPECIALE

La riforma del regime di procedibilità sopra descritto trova una limitazione per effetto degli articoli 7 e 11 del decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018 che hanno introdotto rispettivamente gli articoli 623 ter e 649 bis c.p., in base ai quali tutti i reati per i quali è stato introdotto il regime della procedibilità a querela di parte tornano ad essere procedibili d’ufficio nel caso in cui ricorrano delle circostante ad effetto speciale da intendersi “quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo” secondo al definizione contenuta nell’art. 63 comma 4° c.p..

Un aspetto deve essere chiarito: la ricorrenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale è elemento sempre necessario per rendere i reati sopra elencati procedibili d’ufficio, ma l’operatività è differente a seconda della fattispecie criminosa contestata.

In particolare, se è vero la circostanza aggravante ad effetto speciale rende la truffa procedibile d’ufficio, nel caso dell’appropriazione indebiti tale aggravante deve aggiungersi a quella prevista dall’art. 61 n. 11 c.p. (che prima della recente riforma rendeva tale reato sempre procedibile d’ufficio); infatti, l’art. 649 bis c.p. stabilisce che “per i fatti di all’articolo 646, secondo comma, o aggravati dalle circostanze di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11, si procede d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale“.

Pertanto, a seconda dell’atteggiarsi al caso concreto quale circostanza unica contestata oppure circostanza che concorre con altre, l’aggravante ad effetto speciale “sterilizza” la procedibilità a querela di parte, rendendo il reato procedibile d’ufficio.

REGIME TRANSITORIO

L’art. 12 del decreto legislativo n. 36/2018 disciplina il regime transitorio della riforma del regime di procedibilità, stabilendo:

  1. per i reati perseguibili a querela in base alle dispo- sizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato“;
  2. se è pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata“.

Innanzitutto il comma 1 citato ha la funzione di rimettere in termini la persona offesa, riconoscendole la possibilità sporgere la querela nel termine di 3 mesi decorrenti dal 9 maggio 2018, quale data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018.

Il comma 2 ha l’importante obiettivo di mettere in condizione la persona offesa di venire a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale che magari fino a quel momento le era sconosciuto, in quanto instaurato d’ufficio, e di permetterle di sporgere la querela.

In tali ipotesi l’Autorità Giudiziaria competente (Pubblico Ministero nella fase delle indagini preliminari mentre il Giudice successivamente all’esercizio dell’azione penale da parte del Magistrato Inquirente) dovrà informare la persona della facoltà di presentare la querela, il cui termine decorre dal momento in cui la stessa apprendeva notizia.

CONCLUSIONI

Le problematiche pratiche del regime transitorio del decreto legislativo n. 36 del 10 aprile 2018 verranno certamente risolte solo con la pratica giudiziaria; certo è che la modifica del regime di procedibilità di taluni reati (in particolare la minaccia , la truffa e l’appropriazione indebita) porterà effetti benefici al contenzioso penale, permettendo una definizione del processo più rapida sia nei casi in cui l’imputato e la persona offesa dovessero giungere ad un accordo solutorio tra le parti sia nelle ipotesi di offerta congrua rispetto al danno cagionato formulata ai sensi dell’art. 162 ter c.p. (estinzione del reato procedibile a querela per condotte riparatorie).

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